Gli evasori (fiscali) digitali non sono più virtuali.

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La notizia oramai occupa le prime pagine di periodici e quotidiani.

Da antico evangelizzatore del digitale mi dispiace non poco che molti casi di successo di imprese digitali oggi siano additati come i peggiori evasori fiscali.

Ma si sa la verità sta sempre nel mezzo, soprattutto quando un mercato come quello digitale sfugge da ogni regolamentazione lasciando spazio solo al piú potente e strutturato.

E noi antichi abitanti della rete lo sappiamo purtroppo molto bene: in rete non si fanno prigionieri e non c’e spazio per i secondi.

In qualsiasi caso il problema deve essere attentamente analizzato perché comunque questi “evasori fiscali” comunque generano migliaia di nuovi posti di lavoro anche in Italia e questo non é poco.

E forse non hanno nemmeno tutti i torti a creare posti di lavoro piuttosto che pagare tasse da strozzinaggio ad un governo che poi le dilapida per mantenere un apparato burocratico obsoleto, ma questa storia (forse) merita un post a parte.

Credo quindi che si debba uscire dai luoghi comuni e dai facili titoli giornalistici ad effetto ed iniziare a valutare il problema nella sua complessità reale con una reale analisi magari aprendo un tavolo con tutte le parti coinvolte: aziende, agenzia delle entrate e associazioni di categoria.

Cosa forse troppo difficile in un terzo mondo digitale come quello italiano.